Uno spettatore del ‘700

Che tipo di spettatore era quello dell’opera del ‘700? Come faceva a capire le parole pronunciate dai cantanti? In che modo seguiva la trama? Da cosa era attratto? Queste sono alcune domande che oggi ci poniamo, ci chiediamo come gli spettatori dell’epoca potessero seguire degli spettacoli tanto lunghi e complessi.

La verità è che tale pubblico spesso conosceva la trama dell’opera che andava ad ascoltare e questo è particolarmente vero per quanto riguarda l’opera seria.

Non troppo diversamente accadeva per i nuovi generi operistici, come l’opera buffa, o il dramma giocoso, in tal caso sovente la trama era conosciuta per tradizione, oppure era tratta da spettacoli teatrali che per fama potevano fare il giro di tutta Europa.

La Cifra di Salieri, su libretto di Lorenzo Da Ponte, appartiene ad un filone di spettacoli che trattano il tema del rango sociale.

Riporto le impressioni di uno spettatore dell’opera La Cifra, andata in scena per la prima volta al Burgtheater di Vienna l’11 Dicembre 1789.

Il mio parere sopra la musica di questo secondo atto.

L’introduzione. La tempesta è già calmata. Dopo lo strepitio del primo finale, fa chiaro-scuro, e buon effetto.

L’aria. Senza la mia Lisotta non è e non deve essere gran cosa in questo luogo, ma è in carattere, e poi obbliga il personaggio muto a far controscena e questo ha un bel merito nella musica teatrale.

Il terzetto. Son più dolce assai del zucchero è di stile netto parlante ed ha bisogno di azione giudiziosa: la marcia, che improvvisamente attacca alla fine del pezzo, fa un nobile effetto e di musica e di scena.

La cavatina. Lo voglio baciare ha la cantilena dolce e nobile, conveniente al personaggio che la canta.

L’aria. L’altre mille settecento è buffa in sé per le parole, ma la rende ancora più buffa l’intreccio di questa nella musica, ed è un buonissimo pezzo d’opera.

Il duettino. Modesto è quel ciglio ha la dolcezza nel musicale e nell’istromentale convenevole ai due soggetti che lo cantano.

L’arietta. Eccomi a’ piedi tuoi è uno scherzo, o parodia, che caricata con giudizio dal cantante, fa ridere un poco il pubblico, e ciò basta per quella scena.

L’aria. Non vo già che vi suonino è il pezzo forse più popolare di tutta l’opera per l’effetto istromentale.

Il pezzo concertato. Preparate ho già le scale è tutto di scena, e dall’accortezza dell’azione dipende il tutto.

Recitativo Alfin son sola e rondò Sola e mesta fra tormenti pezzi di gran scena, ma ad locum per la persona che li canta, e la situazione in cui si trova, e soprattutto perché composti per una celebre virtuosa (a) che ha saputo eseguirli perfettissimamente ed ebbe grandissimo applauso. Il resto alla fine del libro.

(a)Mad.ma Ferraresi

Le considerazioni dello sconosciuto spettatore sono piuttosto tecniche, usa in maniera perfetta il linguaggio musicale, dimostrando di conoscere in maniera eccellente la struttura dei pezzi musicali e più in generale dell’opera.

Dai suoi appunti riusciamo ad intuire cosa poteva essere accaduto la sera della rappresentazione, sappiamo quando il pubblico aveva applaudito, veniamo a conoscenza di un personaggio muto e possiamo avere un’idea di quali arie e quali scene fossero state gradite di più. È un commento scritto “a caldo” probabilmente la sera stessa della rappresentazione e da come scrive il nostro commentatore non doveva trattarsi della prima rappresentazione dell’opera. Allo stesso modo non doveva essere la prima volta che lui vi assisteva.

Il puntiglioso commento, di cui nulla traspare relativo alla trama, riesce a darci un’idea di quali numeri fossero graditi al pubblico e, per tale ragione, adatti al genere dell’opera buffa.

Si legge “stile netto parlante” e “azione giudiziosa” riguardo al terzetto, “scherzo , o parodia” per l’arietta Eccomi a’ piedi tuoi. Dell’aria Senza la mia Lisotta scrive che “non deve essere gran cosa” ed aggiunge “è in carattere”.

Questi erano tutti pezzi congeniati per far ridere il pubblico, la parola era al centro della composizione e l’azione teatrale doveva prevalere sull’aspetto musicale.

 

In contrasto, non mancavano invece brani melodici che si distinguevano per “La dolcezza musicale” come il duettino Modesto è quel ciglio, “L’effetto istromentale” nell’aria Non vo già che vi suonino.

In questo tipo di brani era preponderante l’aspetto melodico, l’equilibrio degli strumenti. Tali pezzi servivano a commuovere il pubblico, piuttosto che a farlo divertire.

Nell’opera La Cifra il brano d’effetto era stato affidato a Madama Ferraresi, che divenne anche la prima Fiordiligi nel Così fan tutte di Mozart. Si tratta del recitativo Alfin son sola e rondò Sola e mesta. Come scrive lo spettatore, si tratta di una “gran scena” e la cantante è descritta come una grande virtuosa in grado di accendere ed esaltare il pubblico. Non si tratta certamente di un’aria buffa, ma di un grande rondò, in cui la protagonista esprime tutti i tormenti che la affliggono.

La fotografia lasciataci dallo spettatore ci fa capire quanto alta doveva essere l’attenzione con cui venivano guardati questi spettacoli, e ancor di più ci rende partecipi del gusto di quel pubblico che amava essere divertito e commosso.

Alcuni elementi possono apparirci oggi lontani, altri incuriosirci, indubbiamente rivivere il profumo di quell’epoca non può che donarci sensibilità nuove e fonti inesauribili di ispirazione.

La Bartoli canta l'aria "Sola e mesta"